L’evento a trent’anni dalla morte dello scrittore di Racalmuto
Molti degli enigmi che la sua poliedrica letteratura ha regalato nel secolo scorso stanno ancora qui aperti, insoluti e irrimediabilmente disponibili per essere discussi.
Questo il quadro offerto, di mattina alle scuole superiori della città (liceo Scientifico, Linguistico e Musicale) e la sera in un incontro aperto all’Auditorium “Pietro Floridia”. da due giornalisti di prima grandezza come Francesco Merlo e Antonio Gnoli, opinion makers de “La Repubblica” in occasione della ricorrenza dei trent’anni dalla morte di Leonardo Sciascia.
“La loro presenza e i loro interventi sono stati illuminanti, commenta Maria Monisteri, assessore alla Cultura che ha promosso l’evento, nel senso che si è data luce ad alcuni aspetti e ad alcune visioni non note del grande scrittore siciliano.
Sono certa e soddisfatta dal fatto che gli studenti e quanti hanno avuto il piacere e la voglia, attesa la serata inclemente, di partecipare all’incontro serale sono stati testimoni e fruitori di un momento unico su un autore, autentico pilastro della letteratura del secolo scorso.”
Francesco Merlo e Antonio Gnoli (già responsabile per un quindicennio delle pagine culturali del quotidiano fondato da Eugenio Scalfari) hanno dato chiavi di letture diverse.
Merlo esprime una visione nuova quando afferma che bisogna liberare Leonardo Sciascia dagli sciasciani per strapparlo ai luoghi comuni dei “professionisti dell’antimafia”, delle cinque classificazioni del genere maschile espresse ne “Il Giorno della Civetta”, il primo vero libro che denuncia la presenza della mafia in Sicilia, per farlo confluire nel genere “classico” di un intellettuale e di una scrittore che vale per tanto altro. La penna usata come una spada è solo un tratto identitario dello scrittore di Racalmuto.
I riferimenti a Manzoni e a Pirandello nella sua formazione non sono cosa da poco conto atteso che nei Promessi Sposi c’è in nuce la presenza di un atteggiamento e di un’idea di mafia che sono racchiuse nella sinossi del capolavoro manzoniano. “I bravi” cosa sono se non mafiosi, rappresentando la concretizzazione di un disegno malavitoso.
E su questa linea Antonio Gnoli rimarca l’idea della carità e della soluzione salvifica della provvidenza che incide nella formazione di Leonardo Sciascia.
“L’affaire Moro” in questo senso è illuminante. Leonardo Sciascia, conquistandosi feroci polemiche-storiche quelle con Eugenio Scalfari, Giorgio Bocca e Giampaolo Pansa- si schierò apertamente per il partito della trattativa con le BR al fine di liberare dalla morte Aldo Moro. Arrivò ad affermare “né con le BR, né con lo Stato”. Questa sua convinzione nasce dalla formazione manzoniana in cui la carità è l’anima del modus operandi nella visione dello scrittore milanese.
La capacità di un intellettuale e di uno scrittore a tutto tondo di Leonardo Sciascia, secondo i due illustri giornalisti, si racchiude nel metodo che è tipico dei grandi autori. Partire dal dettaglio, dal particolare e da lì far fiorire la grande storia nella commistione tra gli uomini e gli avvenimenti della vita.
Dialogando con Francesco Merlo e Antonio Gnoli non poteva mancare un breve riferimento sull’ultima loro opera scritta a quattro mani: “Grand hotel Scalfari. Confessioni libertine su un secolo di carta”, in libreria dall’ottobre scorso, dedicato al fondatore dell’Espresso e de “La Repubblica”.
Per Antonio Gnoli è un’opera che testimonia, attraverso le loro voci, l’esistenza di un personaggio straordinario: vita, giornalismo, amori, aneddoti e curiosità. Per Francesco Merlo è un libro testamento perché indica la fine di un’epoca, comprese le atmosfere rarefatte dei Grand hotel tanto frequentate da Scalfari in un tempo che non può tornare più perché definitivamente scomparso perché irripetibile.
L’Ufficio Stampa